Homunculus (quinta parte)
martedì 16 giugno 2009
I primi clienti già attendevano in ufficio: una donna dai modi aristocratici accompagnata da un bimbo sui sei anni. Guardavano il monitor che proiettava le immagini degli umanogeni in pronta consegna.
«Questo, questo.» fece il bambino. «Prendiamo questo come schiavo.»
La donna guardò il bambino, poi Aisha. Sembrava costernata.
«Amore, questi non sono schiavi. Sono umanogeni. Lo scusi, sa...»
«Non si preoccupi» la tranquillizzò Aisha.
«La maestra ha detto che gli schiavi lavoravano per i padroni senza essere pagati. Non fanno così anche gli umanogeni?»
«Ma no amore, gli umanogeni non sono persone. Sono robot.»
«Robot? A me sembrano persone.»
«Beh, hai ragione piccolo», s’intromise Aisha, «gli umanogeni non sono delle macchine. Però non sono neanche delle persone. Diciamo che sono degli animali speciali.»
«Ma gli animali non lavorano mica!»
«Oh sì invece. Una volta, tanto tempo fa, quando non c'erano ancora gli umanogeni, le persone facevano lavorare gli animali al posto loro.»
«Davvero?» si stupì il bimbo. Poi guardò di nuovo il monitor. «Non sembrano neanche animali» disse deluso. Incrociò le braccia sul petto imbronciato. «Tanto lo so che sono schiavi.» esclamò. «Sono prigionieri presi da altri pianeti!»
L’effetto fu così buffo che la donna faticò a trattenere un risolino. Aisha invece non rise, ma si assentò per un attimo con la mente: aveva appena avuto un'idea. Grazie piccolo pensò sorridendo.
Alle dieci e mezza la signora e il suo figlioletto uscirono dalla stanza. Aisha premette il tasto dell'interfono e subito comparve l'immagine della segretaria con la giacca blu lucido della Robotic.
«Yang, potresti annullarmi, per cortesia, tutti gli appuntamenti? Dovrò assentarmi per l'intera giornata.»
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